Gli attestati di malattia non possono essere “retroattivi”

In una causa da me patrocinata per la Società datrice di lavoro, la sentenza 28 ottobre 2024 della Corte d’Appello di Ancona, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato ad un dipendente rimasto assente per tre giorni consecutivi. Il dipendente non comunicava tempestivamente la propria assenza e, per giunta, il quarto giorno faceva pervenire un certificato medico rilasciato in pari data che, però, pretendeva di essere retroattivo, in quanto attestava l’inizio della malattia dal primo giorno di assenza. A seguito di contestazione disciplinare, il dipendente faceva pervenire una dichiarazione scritta del medico che aveva rilasciato l’attestato di malattia, il quale affermava che lo stato morboso sarebbe stato effettivo ed esistente anche nei tre giorni precedenti la visita ambulatoriale.
La Corte d’Appello di Ancona conferma che gli attestati di malattia sono efficaci esclusivamente dal giorno della visita ambulatoriale e, quanto alla dichiarazione “postuma” del medico di base, correttamente afferma la sua irrilevanza perché “non è nel potere del medico curante far retroagire gli effetti di una certificazione di malattia rispetto alla data di inizio dello stato morboso che egli stesso ha attestato con dichiarazione fidefacente” (al momento della visita ambulatoriale).
Con riguardo al mancato preventivo “avviso” della assenza nel termine previsto dal CCNL, la Corte aderisce a quell’orientamento della Suprema Corte che considera “ingiustificata l’assenza quando vi è stata omissione del comportamento attivo prescritto a carico del lavoratore, con la conseguenza che tale omissione rende l’assenza ingiustificata, ancorché fondata su uno stato di malattia esistente” (Cass., 8 novembre 2017, n. 26465 e, nello stesso senso, Cass., 6 luglio 2020, n. 13904).
Viene anche rigettata la tesi del lavoratore secondo cui, per la sua patologia, non sarebbe stato in grado di avvisare e giustificare tempestivamente la sua assenza. La Corte, sul punto, osserva che la deduzione non è plausibile, in quanto il dipendente non ha provato che “la mancata comunicazione ed il mancato invio siano dipesi da causa a lui non imputabile, avente le caratteristiche della forza maggiore”.
Unico rammarico è che i Giudici sia di primo che di secondo grado non hanno inviato gli atti alla Procura della Repubblica per perseguire penalmente il dipendente e il suo medico (ma non lo aveva fatto nemmeno la Società, preferendo trattare il falso soltanto sotto il profilo giuslavoristico).