Il “disconoscimento” di persona nelle cause di licenziamento

Lieto di segnalare una interessante sentenza di oggi del Tribunale di Busto Arsizio che ha rigettato l’impugnazione del licenziamento per giusta causa intimato da una società da me assistita ad un dipendente che aveva percepito denaro da una utente.
L’utente e una sua vicina erano state sentite come testimoni, ma, pur confermando i fatti, avevano affermato che la persona recatasi a casa loro non era il lavoratore presente in udienza.
La discussione, quindi, si è incentrata sul valore di quest’ultima dichiarazione, richiamando il noto dibattito nella giurisprudenza penale sulla limitata portata probatoria del riconoscimento (e, quindi, del disconoscimento) di persona in quanto legato ad un procedimento intuitivo prelogico e comunque dipendente da fattori psicologici, nonché mettendo anche in evidenza l’esistenza di una denuncia del lavoratore nei confronti delle testimoni e la convergenza di tutti gli altri fatti.
Il Tribunale di Busto Arsizio ha rigettato il ricorso affermando che sarebbe stato normale se le testimoni avessero dichiarato di non ricordare la fisionomia della persona, mentre non è normale escludere con certezza che la persona fosse il ricorrente. Questo, secondo il Tribunale, è un chiaro segno di pressione psicologica che esclude, sul punto, l’attendibilità delle testimoni e non vale a scalfire il restante e granitico quadro probatorio.