Si segnalano due preoccupanti sentenze della Suprema Corte. La sentenza n. 28378 del 2023 dichiara inutilizzabili le prove raccolte nei confronti di un dipendente che era stato licenziato per giusta causa in quanto, adibito ad attività esterne all’azienda, si dedicava durante l’orario di lavoro ad “incombenze personali”. Le prove raccolte dagli investigatori, secondo la Suprema Corte, sarebbero inutilizzabili perché, in violazione dei codici deontologici previsti dalla normativa sulla riservatezza dei dati personali, l’autore materiale del pedinamento non lavorava stabilmente per la società incaricata di eseguire l’investigazione e il suo nominativo non era indicato nell’atto di incarico conferito dal datore di lavoro. La sentenza n. 18168 del 2023 ha confermato l’illegittimità del licenziamento di un dirigente che aveva intrattenuto rapporti con imprenditori concorrenti del datore di lavoro. Anche in questo caso le prove del comportamento (comunicazioni estratte dal pc del dirigente e investigazione) sarebbero inutilizzabili perché raccolte in violazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori e della normativa sul trattamento dei dati personali, essendo stati violati i principi di minimizzazione, proporzionalità, pertinenza e non eccedenza. Sta quindi prevalendo una lettura integralista delle norme in materia di privacy (richiamate anche dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori), che porta ad un chiaro ed inammissibile sviamento della ratio legis: non più la legittima tutela di un diritto contro non desiderate e immotivate aggressioni, ma la formale cancellazione di prove positive di gravissimi illeciti contro il datore di lavoro. Una interpretazione di questo tipo finisce per proteggere e premiare gli illeciti e impone un intervento legislativo netto e chiaro. Intervento che, sulla base dei nostri valori fondamentali, dovrebbe far prevalere il diritto di difesa sul diritto alla riservatezza del riconosciuto autore degli illeciti. Unica consolazione, nel processo del lavoro, è l’art. 160 bis del D. Lgs n. 196 del 2003 (introdotto nel 2018 e sul quale, però, la sentenza n. 28378 del 2023 svolge generiche considerazioni sostanzialmente abrogatrici, sebbene la norma non fosse applicabile in quel giudizio ratione temporis).
La privacy che “pulisce” gli illeciti provati in giudizio
- Articolo pubblicato:Gennaio 18, 2023